Sinn: «L’Europa può restare prigioniera dei tassi d’interesse troppo bassi»

Danilo Taino, corriere.it, 10.04.2016

«Rischiamo di perdere 25 anni. Ecco gli errori delle banche centrali e dei governi»

La maledizione degli spread per anni troppo bassi. L’entusiasmo naif alla nascita dell’euro. La grande opportunità persa dall’Italia. I due errori della Banca centrale europea in 18 anni di vita. La droga dello stimolo monetario. L’Eurozona sulla strada di diventare giapponese. E gli aiuti eccessivi ai ricchi e al sistema finanziario nella gestione della crisi del 2008. Se c’è un economista autorevole nell’esporre il punto di vista prevalente in Germania sulla situazione dell’area euro — nell’esporre la cosiddetta «ortodossia tedesca» — questi è Hans-Werner Sinn.

Molti, in Italia, non sono d’accordo con lui: ma tra Paesi amici occorre capirsi. Alla vigilia dell’incontro tra Italia e Germania del 13 aprile a Torino organizzato, con la collaborazione dell’Ispi, dalle rispettive presidenze della Repubblica, è importante avere presente l’analisi che sta alla base non solo del dibattito in Germania ma soprattutto delle scelte del governo di Berlino, in testa quelle del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble.

Sinn – che per 17 anni, fino alla fine di marzo, ha guidato l’Ifo, l’importante centro di studi economici di Monaco – dice che il ruolo enorme assunto dalle banche centrali negli ultimi anni «è una reazione alla crisi finanziaria». Ma — aggiunge — «penso che abbiano agito eccessivamente a favore dei possessori di ricchezza». In sostanza, nel dopo crisi si sono sostenute le banche e le istituzioni finanziarie, anche quelle «che altrimenti sarebbero finite in bancarotta». Nel 2008, «non si poteva fare diversamente — dice il professore — Dal mio punto di vista, il problema inizia tra l’autunno 2009 e il 2010, quando con la ripresa in arrivo le banche centrali avrebbero potuto tornare a una politica monetaria normale. Invece, assieme ai governi, «hanno deciso di sostenere gli asset e i detentori di ricchezza». Con il risultato che le bancarotte sono state rinviate ma non evitate, «e in un modo molto costoso che ha ridotto la crescita economica». Si sarebbe dovuto assistere a un processo di «distruzione creativa schumpeteriana» — sostiene Sinn — nel quale le imprese vecchie e fuori mercato muoiono e ne nascono di nuove. «Se si sceglie sempre il salvataggio, non si crea niente».

Ciò vale anche per le banche — a suo avviso — e anche la Germania ha fatto errori in questo senso. «In America, più di 500 banche sono finite in bancarotta. E la Fed non ha fatto niente per salvare gli Stati. Ciò ha creato disciplina e reso possibile la ripresa». Non è che il sistema finanziario sia più debole, politicamente, negli Stati Uniti: «è il sistema politico a essere più debole in Europa». In questo modo, però, si va verso l’esperienza del Giappone, dove la bolla è scoppiata all’inizio degli Anni Novanta, i vecchi problemi si sono trascinati, non c’è più stata crescita «e il Paese ha sprecato un quarto di secolo». Sinn — e con lui molti tedeschi — ha avuto un ripensamento rispetto al 1995, quando si decise di fare la moneta unica. «Ne ero entusiasta, pensavo che l’euro sarebbe stato uno strumento per l’integrazione politica. Credevo che gli economisti scettici esagerassero i rischi. Devo ammettere di essere stato naif nel credere che le regole del Trattato di Maastricht sarebbero state rispettate. Sono state tutte infrante». Secondo l’economista tedesco, la mutualizzazione dei rischi di finanziamento nella banca centrale ha significato che «i mercati dei capitali hanno perso la funzione di distinguere tra rischi buoni e cattivi. Gli spread sono spariti, le differenze tra i tassi d’interesse annullate». Al momento, per alcuni Paesi, ciò è sembrato una benedizione, «ma non era vero: si sono create grandi bolle di credito». Quando un Paese importa capitali in quantità, si alzano artificialmente prezzi e salari e si erode la sua competitività. «E’ come il cosiddetto Male olandese che colpì il Paese negli Anni Sessanta con la scoperta del gas nel sottosuolo da esportare, o come la Maledizione del petrolio per gran parte dei Paesi produttori».

In Italia, per dire, dal 1995 i prezzi dei beni prodotti sono saliti del 41% rispetto a quelli della Germania. Inoltre, l’Italia non ha saputo usare i bassi tassi d’interesse seguiti all’introduzione dell’euro. «Se avesse usato i tassi bassi per riscattare il suo debito, questo sarebbe inferiore al 60% del Pil. All’inizio una riduzione ci fu, ma poi arrivarono i governi Berlusconi». Secondo Sinn, in oltre 18 anni di vita, la Bce ha commesso soprattutto due errori. «Negli anni buoni, ha tollerato un eccesso di inflazione nei Paesi del Sud, dicendo che doveva guardare la media dell’Eurozona. Avrebbe invece dovuto frenare la creazione di bolle: ma politicamente era difficile rovinare il party. Poi, durante la crisi, è diventata una grande macchina di salvataggi fiscali, il che non è nel suo mandato, anche se la Corte costituzionale europea può essere più tollerante a questo proposito. La Fed non ha mai comprato bond di Stati singoli. La Bce invece sì e ha promesso di farlo persino senza limiti; e nel farlo ha abbassato gli spread e ridotto gli incentivi a diminuire il debito e a fare riforme strutturali». Riforme che l’economista indica come unica soluzione per uscire da una situazione pericolosa. «Vedo solo u n processo graduale di aumento della competitività delle economie: ma è un processo non piacevole e politicamente difficile». Purtroppo — dice — lo stimolo monetario è una droga «e ogni governo ne vuole sempre di più». La visione «tedesca» di Sinn è diversa da quelle prevalenti in Italia e altrove. E’ però, con variazioni, l’approccio maggioritario in Germania. Andrà tenuto in conto, mentre Roma e Berlino si incontrano a Torino.

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